Sushi: le origini
e come lo conosciamo oggi

Ristorante Chopstick

Alle sue origini il sushi non era decisamente quello che conosciamo oggi, che tutti noi tanto adoriamo: era ben diverso, sia nella forma che nei sapori.
Il sushi nasce fondamentalmente da un’esigenza pratica: quella di conservare il pesce.
Il metodo principale della conservazione dei cibi è quello della refrigerazione. In un passato remoto, prima della possibilità di refrigerare i cibi, l’uomo si è adattato a trovare soluzioni che gli permettessero di non sprecare le preziose risorse alimentari.
Ogni cultura ha sviluppato delle metodologie adatte al tipo di alimenti della propria dieta e al clima in cui si trova a vivere.

L’alimento principe della dieta giapponese è da sempre il pesce.
Come veniva conservato il pesce in Giappone nell’antichità?

Nare-Sushi
È questo il primissimo antenato del sushi odierno e risale più o meno all’anno 1000.
La zona di origine del nare-sushi è quella nei dintorni del lago Biwa: oltre al pesce pescato, c’era la necessità di conservare i pesci che le acque del lago, tracimando durante la stagione delle piogge, riversavano nei campi di riso. Si trattava perlopiù di funa, una varietà di pesce che potremmo definire parente della carpa. Da qui il nome con cui è tuttora conosciuto il prodotto di questo metodo di conservazione: funa-sushi.
Come venivano conservati i pesci?
I pesci venivano puliti dalle interiora e posti a fermentare per un periodo variabile, da alcuni mesi fino a più anni, in barili di legno con sale e riso bollito.
Una particolarità di questa pratica: il riso presente nei barili non veniva mangiato, veniva buttato.
Diciamo che il gusto di questo antico sushi dovrebbe essere stato decisamente diverso da quello che conosciamo noi! Più di un anno di fermentazione…non esattamente il profumo del pesce fresco appena pescato! Non a caso nare-zushi significa proprio pesce invecchiato.

sushi

Han-Nare Sushi
Questa è l’evoluzione del metodo descritto prima, da cui si differenzia per una tempistica molto più breve e per il fatto che il riso non viene più buttato ma mangiato.

Haya-Nare Sushi
Questa terza generazione di sushi la possiamo trovare fra il XIV e il XVIII secolo. La tempistica di conservazione del pesce fu notevolmente accorciata: il pesce veniva conservato con riso e sale solo per pochissimi giorni, ma al riso veniva aggiunto aceto, che simulava il sapore conferito al riso dalla fermentazione.
In questo periodo si avvia una certa differenziazione fra le varie zone del Paese nei metodi di preparazione degli elementi da conservare: si usano diversi tipi di riso, diversi metodi per tenere pressati gli elementi da conservare e vengono anche introdotte delle foglie per avvolgere il riso.

Edo-Mae Sushi
Si arriva a questa quarta generazione nel XIX secolo, nella provincia di Edo, a Tokio.
Il sushi si evolve per delle necessità sociali: la città di Tokio era perennemente soggetta ad incendi e quindi, in giro per la città, vi erano cantieri per le ricostruzioni aperti costantemente. Da qui la necessità da parte di un grande numero di lavoratori di reperire del cibo in loco.
I tempi di lavorazione del pesce vengono allora ulteriormente accorciati: il pesce veniva pescato nella baia della città, salato e cotto e servito assieme a del riso condito e cotto con aceto, in forma di grosse palle, ben più grandi del sushi che mangiamo oggi.

Il sushi moderno
Il sushi che conosciamo noi è frutto dell’introduzione dei moderni sistemi di refrigerazione: la cottura del pesce non è più stata necessaria, come anche la lunga conservazione.
Cambia anche nella sua forma: diviene sempre più piccolo ed elegante, tanto da divenire ben presto un cibo di gran moda.
Dagli anni ’60 del secolo scorso, quando ha conquistato i suoi primi successi al di fuori dei confini del Giappone, la fama del sushi non ha conosciuto mai declini.
È sicuramente uno dei cibi più famosi e più apprezzati al mondo.
Chissà se tutti sarebbero in grado di apprezzare il suo antenato che può vantare mesi e mesi, anni e anni di “maturazione”?

Sicuramente è un gusto molto più difficile da apprezzare, anche per i più temerari. È comunque un’esperienza che è possibile fare tuttora: nella sua zona d’origine lo si può addirittura trovare al supermercato.